A.C. 522-615-1320-1345-1675-1732-1925-2338-2424-2454-A
Grazie Presidente, onorevoli colleghi, onorevoli colleghe, sottosegretaria, il testo unificato che oggi è all'attenzione di quest'Aula affronta un tema di grande attualità e importanza per il nostro Paese, quello della parità salariale e delle pari opportunità sul luogo di lavoro. Si tratta di una legge che ha affrontato un lungo percorso parlamentare, fin dall'inizio della legislatura, e che affonda le radici nell'impegno di tante donne italiane che, dentro e fuori questo Parlamento, si sono spese per l'uguaglianza, a partire dalla Costituente. Questo testo trova, infatti, due importanti riferimenti nella Carta costituzionale: il primo è certamente all'articolo 3, nel principio di uguaglianza e nella missione affidata alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli che, di fatto, limitano la libertà e l'uguaglianza dei cittadini; quel “di fatto”, care colleghe e colleghi, è la concretezza che serve alle donne nell'azione del legislatore e non è un caso che a volerlo sia stata proprio una donna, Nilde Iotti, perché sapeva che non sarebbe bastato scrivere sulla Carta (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico) che uomo e donna sono pari. Il secondo riferimento imprescindibile è all'articolo 37: la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. E proprio a questo articolo faceva riferimento un'altra madre costituente, Tina Anselmi, intervenendo, in quest'Aula, il 30 giugno del 1977, in qualità di Ministra del lavoro, prima donna ministro del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), all'approvazione, proprio, della prima legge dello Stato sulla parità salariale fra uomo e donna. Da allora, sono passati quasi cinquant'anni; l'Italia è cresciuta, è cambiata, le donne hanno conquistato diritti e opportunità, ma ancora la loro e la nostra battaglia non può dirsi conclusa. Le disuguaglianze di genere, in Italia, già laceranti prima della pandemia, oggi si sono ulteriormente allargate e rappresentano un vero e proprio vulnus democratico per il nostro sistema istituzionale. Dobbiamo ricordare le decine di migliaia di donne che perdevano e perdono il lavoro ogni anno, perché impossibilitate a tenere insieme il proprio impegno con la cura dei figli, e non solo. La prevalenza di contratti precari fra le donne lavoratrici all'arrivo della crisi ha generato una tremenda onda di licenziamenti: il 70 per cento dei lavori persi nel 2020 erano di donne, di cui 99 mila soltanto a dicembre dello scorso anno. Il tasso di occupazione femminile prima della pandemia era di 18 punti inferiore a quello maschile, una distanza che anche il Presidente Mattarella non aveva giustamente esitato a definire impresentabile per un Paese membro del G7. Anche le opportunità di carriera sono precluse alle donne, se pensiamo che rappresentano il 56 per cento dei laureati italiani, ma soltanto il 28 per cento dei manager; un dato che, in Europa, ci pone in fondo alla classifica, davanti solo a Cipro. Il gender pay gap totale nel nostro Paese raggiunge la vetta del 44 per cento e, a parità di mansione e di salario, può arrivare fino al 20 per cento della busta paga fra uomo e donna. E' urgente dare una risposta a queste sofferenze e a queste discriminazioni, a maggior ragione dopo un anno terribile come quello che abbiamo trascorso, in cui le donne hanno perso il lavoro e si sono ammalate per prime, perché impiegate nei settori più esposti: negli ospedali, nell'assistenza e nelle pulizie; troppo spesso sfruttate e sottopagate. Nel solco della storia e della missione che ci hanno lasciato le madri costituenti, noi, oggi, abbiamo il dovere di affrontare le disuguaglianze con misure concrete, per costruire un'Italia più giusta, a partire proprio dal mondo del lavoro. Credo di poter dire, senza timore di essere smentita, che, con la stessa concordia e sensibilità di allora, hanno lavorato tutti i gruppi parlamentari - e li ringrazio per questo - presenti in Commissione. Abbiamo fatto insieme un ottimo lavoro. La proposta di legge di cui discutiamo, infatti, è il frutto di un'unificazione di più proposte di legge, di più testi, provenienti dalle diverse forze politiche e della dimostrazione che il Parlamento, ancora oggi, quando si dà spazio al dialogo e si raccolgono insieme le difficoltà dei cittadini e delle cittadine, è capace di rispondere, in maniera seria, efficace e puntuale, ai bisogni del Paese. A questo proposito, apprezziamo che questa discussione avvenga in parallelo all'impegno della Presidenza italiana del G20 e che la centralità di questi argomenti abbia trovato conferma nella dichiarazione finale dei Ministri del lavoro del G20. Faccio mie alcune parole inviate ieri dal Presidente Draghi alla terza sessione del “G20 Empower”, quando afferma che “siamo ancora lontani dal raggiungere una reale parità di genere”, che dobbiamo “pretendere più informazioni da parte delle aziende sul divario salariale e di genere” e che “sta noi dare potere ad una nuova generazione di donne e costruire un mondo migliore e più equo”: sono parole decisive che sento di poter sposare totalmente. Sarà fondamentale che, in sede di realizzazione del PNRR, sia garantita la valorizzazione delle imprese che assicurino un adeguato tasso di occupazione femminile e che si caratterizzino per la promozione di un ambiente di lavoro nel quale, appunto, venga applicata la parità salariale e siano effettivamente riconosciute pari opportunità. Questo testo, in particolare, si occupa di un pezzo di questi aspetti, non soltanto del gender pay gap, inteso come disparità salariale, ma anche di tutte le pari opportunità che alle donne lavoratrici devono essere garantite, dalla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, auspicando però, signor Presidente, che, sempre più, si passi a un'idea non solo di conciliazione, che viene declinata in senso femminile, ma anche culturalmente avanzata, anche nel nostro Paese, di condivisione genitoriale. Abbiamo bisogno di fare questo salto culturale, fino alle opportunità di crescita e di carriera dentro le aziende. Vogliamo rafforzare il quadro normativo delle tutele previste dal nostro ordinamento con un approccio basato sul principio della trasparenza che non vuole essere solo di carattere repressivo, ma vuole promuovere anche lo sviluppo di un sistema premiale per i datori di lavoro che abbiano sviluppato politiche aziendali, per garantire efficacemente il rispetto delle pari opportunità. Più specificatamente - vengo all'articolato -, l'articolo 1 del testo unificato reca una modifica all'articolo 20 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, per rendere più efficace l'informazione e il controllo delle Camere sull'applicazione della legislazione in materia di pari opportunità; si valorizza il ruolo della consigliera nazionale che procederà a trasmettere, direttamente lei, la relazione biennale al Parlamento. L'articolo 2 intende poi prevedere una definizione più ampia e precisa delle discriminazioni sul lavoro, modificando l'articolo 25 del codice; si interviene sulla definizione di discriminazioni indirette, specificando che i comportamenti o gli atti apparentemente neutri, che mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio, possono consistere anche in atti o scelte di natura organizzativa o incidenti sull'orario di lavoro. Si estende, inoltre, l'area dei trattamenti considerati discriminatori, comprendendo i trattamenti che determinano una discriminazione in ragione del sesso, dell'età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità, ovvero in ragione della titolarità e dell'esercizio dei relativi diritti; in particolare, la discriminazione può tradursi in una posizione di svantaggio rispetto alle generalità degli altri lavoratori, nella limitazione delle opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali o nella limitazione dell'accesso ai meccanismi di avanzamento e di progressione nella carriera. L'articolo 3 interviene sulla disciplina del rapporto sulla situazione del personale, contenuta nell'articolo 46 del codice, che sostituisce il principale strumento per la verifica del rispetto del principio della parità di genere da parte delle imprese.
Il rapporto, che avrà cadenza biennale, dovrà essere redatto obbligatoriamente dalle aziende con oltre 50 dipendenti - contro i 100 previsti dall'attuale legislazione -, mentre le aziende con meno di 50 dipendenti potranno redigere il rapporto su base volontaria per accedere alla certificazione di parità. Si tratta di un giusto bilanciamento, per non sovraccaricare di oneri amministrativi le imprese di minori dimensioni.
Si prevede che il rapporto sia redatto in modalità esclusivamente telematica e che i consiglieri regionali di parità possano accedere ai dati contenuti nei rapporti compilati dalle aziende. I risultati sono trasmessi alle sedi territoriali dell'Ispettorato nazionale del lavoro, alla consigliera nazionale di parità, al Ministero del Lavoro e delle politiche sociali al Dipartimento delle pari opportunità, alla Presidenza del Consiglio e al CNEL.
La norma prevede, poi, un decreto del Ministro del Lavoro di concerto, con il Ministero delegato per le pari opportunità, per la puntuale definizione dei contenuti del rapporto, provvedendo sin d'ora ad ampliarli e specificarli, facendo riferimento anche a dati relativi ai processi di selezione e reclutamento, all'accesso alla qualificazione e alla formazione professionale, nonché alle misure adottate per promuovere la conciliazione di tempi di vita e di lavoro.
Si rafforza anche il quadro sanzionatorio. Si prevede che la sospensione per un anno dei benefici contributivi goduti dall'azienda si applichi nel caso di inottemperanza protratta per oltre dodici mesi; inoltre, si attribuisce all'Ispettorato nazionale del lavoro il compito di verificare la veridicità dei rapporti, stabilendo, nel caso di rapporti mendaci o incompleti, una sanzione pecuniaria da 1.000 a 5.000 euro.
Come ho detto, tuttavia, questa proposta di legge non punta tanto alla sanzione delle inadempienze, quanto alla promozione di una cultura delle pari opportunità. In questo senso, l'articolo 4 istituisce dal 1° gennaio 2022 una certificazione della parità di genere, per valorizzare le politiche e le misure adottate dai datori di lavori per ridurre il divario di genere, in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità.
La misura attua anche l'intervento previsto dal PNRR, in materia di creazione di un sistema di certificazione della parità di genere e sarà più puntualmente definita con uno o più DPCM su proposta del Ministro con delega per le pari opportunità, di concerto con i Ministri del Lavoro e dello Sviluppo economico.
Verrà anche istituito presso il Dipartimento per le pari opportunità di un comitato tecnico permanente sulla certificazione di genere nelle imprese, costituito dai rappresentanti delle amministrazioni interessate, da consiglieri e consigliere di parità, rappresentanti sindacali ed esperti.
Alla certificazione si accompagna, per effetto dell'articolo 5, l'attivazione di un sistema premiale, grazie al quale alle aziende private in possesso della certificazione della parità di genere sarà concesso uno sgravio di complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, non superiore all'1 per cento e nel limite massimo di 50 mila euro annui per ciascuna azienda, entro un limite dei 50 milioni annui.
Da ultimo, ma non certamente meno importante, all'articolo 6, viene estesa l'applicazione delle disposizioni relative all'equilibrio tra i generi nella composizione dei consigli di amministrazione delle società quotate nei mercati regolamentati anche alle società controllate dalle pubbliche amministrazioni. In particolare, lo statuto dovrà prevedere che il riparto degli amministratori da eleggere sia effettuato in base a un criterio che assicuri l'equilibrio tra i generi, in modo che il genere meno rappresentato ottenga almeno due quinti degli amministratori eletti.
Mi avvio a concludere, Presidente, e vorrei prendere in prestito proprio alcune parole pronunciate da Tina Anselmi in quest'Aula in quella seduta del 1977: credo che l'impegno, che gli onorevoli colleghi, le forze sindacali, le forze politiche, le associazioni femminili e il Ministero del Lavoro hanno posto nella costruzione della nuova disciplina, dovrà essere raddoppiato dopo la sua approvazione, perché la nuova legge possa esplicare compiutamente nella fase applicativa tutti gli effetti che reca in sé, per sconfiggere ogni forma di discriminazione, antica e recente, palese od occulta. Io, Presidente, faccio mie queste parole. Mi faccio questo auspicio ed è l'auspicio che pongo a chiunque stia in quest'Aula oggi e a chiunque verrà dopo di noi in quest'Aula, perché bisognerà monitorare l'applicazione di questa legge. Avremo un grande bisogno di impegno, da parte non solo dei Ministeri coinvolti, non solo delle consigliere e dei consiglieri di parità, delle rappresentanze sindacali, ma di tutti noi che abbiamo a cuore le pari opportunità e chi ci confronteremo in quest'Aula anche nei prossimi giorni con l'approvazione di questa legge.
Molta attenzione servirà nel passaggio al Senato - lo dico qui - perché questa legge non rimanga lettera morta nei cassetti del Parlamento, ma possa essere rapidamente pubblicata in Gazzetta Ufficiale. Questo perché i nostri sforzi per le donne si moltiplicano in ogni campo, ma la questione delle pari opportunità fra i sessi passa inevitabilmente dal lavoro. È stato il lavoro, nel secolo scorso, il primo mezzo di emancipazione delle donne ed il lavoro, ancora oggi, determina le discriminazioni e le disuguaglianze che impediscono la libera scelta di coniugare lavoro e famiglia, così come la possibilità di raggiungere l'indipendenza economica e la realizzazione personale, perché di questo si tratta.
L'Italia oggi sta uscendo da uno dei periodi più difficili e tragici della sua storia, ma deve farlo con la consapevolezza che senza uguaglianza, a maggior ragione di genere, non potrà esserci alcuna concreta ripresa. Per quella libertà, per quell'uguaglianza, che è un diritto di tutte le donne, ma di ciascuno di noi, serve oggi la legge sulla parità salariale. Serve farla vivere e dare concretamente attuazione per riuscire a ristabilire un patto tra le donne fuori e dentro le istituzioni e per consentire davvero, anche più di quanto non avvenga oggi - ancora tanta strada abbiamo da fare -, di consentire alle donne italiane, non solo di partecipare attivamente al mercato del lavoro, ma possibilmente, con atti concreti, di tornare a ricredere nella politica, nel partecipare pienamente alla vita economica e politica del nostro Paese. Questo in fondo è il più grande auspicio e credo che questa sia la ragione per cui siamo chiamati a svolgere con disciplina ed onore il nostro lavoro. Quindi, grazie ancora una volta a tutte le forze parlamentari per il lavoro che incardiniamo oggi.